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Vittorio Avondo

  • Mostra
  • 24 Ottobre 2010 - 31 Gennaio 2011
Il 24 ottobre la GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino presenta al pubblico il quarto allestimento della Wunderkammer, il raffinato spazio posto  al primo piano della collezione permanente, dove il pubblico è invitato ad avvicinare, attraverso piccole esposizioni, nuclei preziosi ed esemplari inediti della raccolta del Gabinetto Disegni e Stampe del Museo.   Dopo i primi tre appuntamenti dedicati a Pietro Giacomo Palmieri, Enrico Gamba e Antonio Fontanesi,  la “Camera delle Meraviglie” ora ospita i disegni di un altro protagonista della pittura piemontese dell’Ottocento: Vittorio Avondo (Torino, 1836 - Torino, 1910), celebrato nel centenario della sua morte. Grande collezionista e conoscitore dell’arte medievale e moderna, oltre che pittore paesaggista, Avondo ebbe un ruolo fondamentale nella storia culturale del Piemonte contribuendo, insieme a Alfredo d’Andrade, allo studio e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Importante la sua figura anche per la GAM, egli fu infatti Direttore del Museo Civico di Torino per un lungo periodo, dal 1890 al 1910, e contribuì in modo significativo alla definizione della raccolta d’arte moderna accogliendo ad esempio la donazione delle opere di Antonio Fontanesi.     
La nascita in una famiglia dalle ampie possibilità economiche gli permise di coltivare a tempo pieno la passione per la pittura di paesaggio e di compiere viaggi per l’Europa che ne arricchirono la formazione. Tappa obbligata di questa educazione, dopo un primo alunnato presso Alexandre Calame a Ginevra concluso nel 1857, fu un lungo soggiorno a Roma che si protrasse sino al 1860 e che si rinnovò intorno al 1865. Qui egli ebbe modo di conoscere Nino Costa e frequentare un entourage colto  e ricco di stimoli in cui spiccavano artisti come Enrico Gamba, Frederic Leighton, George Mason e i tedeschi legati ai Deutsch Römer, come Anselm Feuerbach, Hans von Marées e lo stesso Böcklin.  
Ma fu sopratutto la sua sensibilità a contatto con il vasto scenario della campagna romana a condurlo a superare lo stile minuzioso e finito appreso in Svizzera, a favore di un nuovo linguaggio  scarno ed essenziale, in grado di restituire per sintesi gli ampi orizzonti del paesaggio laziale. In questa svolta pare di cogliere un gusto artistico in rapido cambiamento, in cui si riflette l’interesse per la resa del paesaggio “sul vero” - tema che anima il fronte degli artisti più avanzati di quegli anni - e che pare testimoniata anche dall’acquisto delle prime stampe fotografiche di quei luoghi. Una scelta che la mostra restituisce attraverso alcune preziose carte salate di Giacomo Caneva che fanno parte della generosa eredità dei beni che Vittorio Avondo lasciò alla Città di Torino alla sua morte.  
Il rapporto tra i suoi schizzi, originariamente raccolti in taccuini, e quelle prime immagini fotografiche offre un ulteriore spunto di riflessione su come si modifichi il modo di guardare al paesaggio in quegli anni: uno sguardo che coglie la natura in presa diretta ma che può anche tornarvi in tempi successivi attraverso gli appunti grafici e le prime immagini fotografiche. Una riflessione che porta a interrogarsi sulla stessa funzione del disegno e su scelte e soluzioni che si discostano radicalmente dalla tradizione accademica.   
Come per la recente esposizione dedicata ad Antonio Fontanesi curata da Rosanna Maggio Serra, Virginia Bertone, conservatore delle raccolte e responsabile del progetto, ha invitato un altro curatore esterno con cui condividere questa nuova esposizione in Wunderkammer.  
Il desiderio di esplorare il versante della produzione grafica in rapporto alla fotografia, mettendo a fuoco un tratto peculiare di un artista dalla personalità così sfaccettata come Avondo, ha suggerito di chiedere a Pierangelo Cavanna, tra i più attenti studiosi di storia della fotografia e autore di saggi e studi tra cui il volume Vittorio Avondo e la fotografia (2005), di contribuire al progetto. A lui spetta una scelta dei fogli avondiani e delle carte salate di Giacomo Caneva, accomunati dai soggetti legati a Roma e al paesaggio laziale, capace di stimolare e permettere  questa riflessione.